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Il valore del desiderio

immQualche anno fa, durante un viaggio nel deserto del Sahara, incontrai un ragazzo che aveva una bellissima rosa del deserto (una concrezione cristallina). Gli chiesi quanto costasse e lui non chiese soldi ma la torcia elettrica che tenevo agganciata alla cintura. Concludemmo il baratto ognuno convinto di aver fatto il migliore affare.

Riflettendo sull'accaduto, mi parve chiaro che il valore degli oggetti scambiati non rispondeva alle logiche dei costi della catena produttiva, né ad un valore intrinseco, ma alla misura del desiderio o del bisogno personale. (Il bisogno è l'espressione ancestrale e istintiva del desiderio di sopravvivere).
La rosa del deserto, del valore commerciale di qualche centinaio di migliaia di vecchie lire, era equivalente alla torcia elettrica che ne poteva valere appena qualche migliaio. Nel deserto la torcia era preziosa, per il ragazzo, quanto per me la rosa che, al contrario, non suscitava alcuna attrazione su di lui poiché la riteneva un oggetto comune.  

Che il desiderio sia il carburante che alimenta il motore delle attività umane e cresca quanto più irraggiungibile e prezioso sia l'oggetto stesso del desiderio, lo sa bene il mercato e lo sanno molto bene i pubblicitari che affinano in tale direzione le tecniche di promozione dei beni di lusso. E ben lo conoscono i produttori e i commercianti che accrescono a dismisura il prezzo dei cosiddetti "oggetti simbolo" in virtù del fatto che influenzano l'immaginario collettivo.
“Più consumi e più sei felice e contribuisci al benessere della comunità”. Questo è lo slogan che viene diffuso per ringraziare od ingraziarsi il consumatore, vero protagonista dell'attuale sistema economico globale.

Stimolare il consumo significa, tuttavia, far crescere l'apparenza del benessere che deriva dal possesso delle cose. Un benessere, per l'appunto, apparente poiché l'appagamento del mero desiderio produce un senso di sazietà momentaneo che, come per il cibo, una volta digerito, svanisce. Rimane una sensazione di vuoto, di contrazione, a cui segue la spasmodica ricerca di un oggetto appetibile, per sentirsi di nuovo pieni; ma alla fine ritorna il vuoto! Un vuoto che per sovrabbondanza di beni diventa assenza di bene, ossia: vuoto esistenziale. Quel vuoto che induce molti a percorrere tunnel oscuri in cui è facile perdersi non trovando la luce della propria anima.

In questo modo viene perseguita la paranoica rincorsa al bisogno che alimenta l'illusione del benessere consumistico. Tutto ciò è posto in essere da leggi di mercato che sembrano inderogabili e inflessibili, sorde alla esigenza di una più equa distribuzione delle risorse, di un più saggio utilizzo del desiderio in risposta alle istanze di cooperazione, piuttosto che a quelle di concorrenza e competizione.

Poco importa ai potentati economici che il mondo sia diviso tra un oriente sfruttato costretto a produrre a costi sempre più bassi e un occidente sfruttatore obbligato a consumare a costi sempre più alti; poco importa che l'oriente non abbia un ritorno di benefici adeguato al dispendio di risorse e manualità, se ciò contribuisce a mantenere il dispotico controllo sui Popoli e sulle riserve energetiche del pianeta. Poco importa alle lobbies multinazionali che la stessa legge della domanda e dell'offerta (per cui a maggior richiesta di beni corrisponde l'aumento dei prezzi e a maggior disponibilità il calo) si riveli, da un lato, un ricatto, e dall’altro, un illusorio incentivo, se ciò serve a convogliare grandi masse di denaro nei forzieri occulti, piuttosto che ad armonizzare la quantità delle merci in relazione ai bisogni.

Che fare allora per riportare ad equa misura, a giusta proporzione lo scambio tra i Popoli? Poiché di questo si tratta quando si affronta il tema della economia globale.
Occorre trasformare lo scambio di merci in relazioni umane, ossia, spostare l'oggetto del desiderio dalle cose alle persone. Bisogna, dunque, privilegiare il valore del talento e della creatività umana piuttosto che il valore del manufatto che da essi deriva.
Occorre scoprire ciò che di interessante e di prezioso vi sia, non nella borsa, ma nella esperienza degli altri, che possa arricchire la nostra vita; in altre parole, valorizzare l'espressione delle potenzialità attraverso la crescita della coscienza individuale in modo che, il desiderio, diventi aspirazione ad evolvere nel reciproco sostenimento. Quel sostenimento che vien detto "fratellanza" e che una volta raggiunto fa sì che ognuno si prodighi per il bene dell'altro e sfami il proprio vicino.
Questo concetto è ben evidenziato in una parabola dove i beati che popolano il paradiso, avendo vincolato alla mano un lungo cucchiaio, riescono a cibarsi imboccandosi a vicenda mentre, i dannati all'inferno, sottoposti al medesimo vincolo, si sforzano di ingurgitare cibo ognuno per sé, senza riuscirvi.

In ultima analisi, per dare il giusto valore al desiderio bisogna convertire la politica dell'avere in quella dell'essere; bisogna abbandonare la "paura del perdere" (cose, quattrini, fama) per abbracciare il coraggio di ritrovare se stessi negli altri, affinché sia svelato l'inganno della separatività.
Che gli Uomini sappiano della intima relazione che da sempre li unisce.

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