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Pensiero del giorno: Invertire la direzione.

Nell’ambito del perfezionamento della personalità curando le ferite interiori è di estrema importanza saper invertire la polarità al momento giusto.

Possiamo prendere come metafora l’oscillazione del pendolo. Il peso del pendolo è la nostra personalità che può oscillare verso il polo positivo del piacere, della gioia e della serenità o verso quello negativo del dolore, della disperazione e del tormento. Quando stiamo male è per il fatto che il pendolo oscilla verso il polo negativo con tutta la sua spinta. Analizzando il movimento oscillatorio vediamo che esso aumenta di velocità quando da un polo discende verso l’altro, fino a rallentare e fermarsi per un istante al raggiungimento del polo opposto. Voler invertire la direzione del pendolo a metà corsa è pericoloso, poiché la forza della spinta è troppo forte: si rischierebbe un impatto violento come quello di un incidente stradale. Meglio aspettare che la forza diminuisca quando il pendolo è nella fase in salita. Fuor di metafora, comprendiamo che non dobbiamo forzare la direzione di un comportamento negativo quando è nel pieno della sua forza distruttiva, ma dobbiamo assecondarlo fino al momento in cui avrà smaltito la spinta iniziale. Assecondare un comportamento o uno stato doloroso non significa farlo persistere o alimentarlo in senso assoluto. Significa piuttosto, rappresentarlo a livello simbolico e rituale. 

Prendiamo ad esempio uno sfogo d’ira. Inutile tentare di fermarlo nel bel mezzo dell’onda d’urto, anche mediante le migliori intenzioni. La persona presa dallo sfogo sarebbe inconciliante fino a quando non avrebbe esaurito la spinta distruttiva. Solo allora potremmo applicare strategie che la farebbero polarizzare in senso opposto. Per farle esaurire la forza in tempo breve potremmo però darle uno strumento “rituale” quale ad esempio, un cuscino o un materasso contro il quale dirigere tutta la carica aggressiva. Il concetto è agire per “similia” prima di adottare la cura per “contraria”. Come dire che: ogni cura dovrebbe essere, dapprima, omeopatica, per poi divenire allopatica e così produrre il maggiore effetto benefico!

Facciamo un altro esempio. Nel caso di una persona distruttiva verso se stessa, dovremmo sospingerla ad esaurire quella forza facendola dapprima passare attraverso una distruzione ritualizzata a cui far seguire una ricostruzione creativa. Redirigere, cioè, la sua distruttività su di un oggetto terzo avente la funzione di capro espiatorio. In tal modo la carica distruttiva sarebbe riconvertita in forza costruttiva tramite l’atto sacrificale, liberando il seme creativo imprigionato nel “dolore” della distruzione. 

In fin dei conti, la metafora del pendolo ci insegna che per produrre il bene dobbiamo ritualizzare il male riconoscendone la funzione compensatrice. In altri termini, per fare trionfare la luce dobbiamo esperire l’oscurità trasponendola in forma simbolica. Ciò che avviene, ad esempio, al momento dei Solstizi e degli Equinozi. Solo così gli opposti cederanno la forza che li sostiene in favore di una sintesi risolutiva.

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