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Dal sé inferiore al Sé superiore - di Batà M. A

 Lo scopo della vita è la graduale manifestazione del Sé, o Spirito, cioè il risveglio della coscienza spirituale latente in noi. Sappiamo che dentro di noi esiste questa scintilla divina, questa essenza spirituale, che è la nostra vera natura e che chiamiamo Anima, Sé Spirituale, Io Superiore..... Non importa il nome, ma sappiamo che esiste, che essa è la vera realtà, la vera nostra individualità, ricoperta da involucri, e che attende solo di manifestarsi. 

Tuttavia, pur essendo convinti di questa verità, ci siamo mai resi interamente conto di che cosa essa significhi realmente? Abbiamo mai riflettuto sulla sua profonda importanza? Abbiamo mai compreso il vero significato nascosto in essa?

Conosciamo intellettualmente questa realtà, ma continuiamo a vivere, anzi, a lasciarci vivere, in una specie di «sonnolenza» interiore, di indifferenza spirituale, tutti affaccendati e tutti presi dalla cosiddetta «vita», creandoci problemi futili, sentendoci spesso stanchi e insoddisfatti, talvolta sofferenti o disperati, senza sapere che l'unica cosa importante della nostra vita, l'unico scopo per cui viviamo e ci siamo incarnati è quello di divenire coscienti della nostra Anima, di diventare «uno» con essa consapevolmente e volontariamente, per manifestare la vita dello Spirito nel piano oggettivo e divenirne strumenti. 

L'unione con l'Anima, con il Sé, è forse l'ultima cosa a cui pensiamo, paghi di sapere che essa esiste in qualche parte di noi stessi, e rimandiamo sempre il momento di dare inizio al lavoro di ascesa e di interiorizzazione necessario per divenire coscienti della realtà profonda, talvolta perché ci sentiamo troppo pigri per tentare qualsiasi cosa in proposito, e talvolta perché siamo troppo occupati e presi dalle nostre attività e preoccupazioni quotidiane. 

Ciò avviene forse perché nel fondo di noi stessi vi è la convinzione che dedicarsi alla vita dello Spirito significhi allontanarsi ed estraniarsi dal mondo, trascurare i propri doveri familiari e sociali, chiudersi in se stessi, abbandonare il lavoro e le attività, astrarsi dalla vita contingente per ritirarsi in una specie di «torre eburnea»... Questa convinzione è errata. Noi possiamo benissimo dedicarci all'opera di «ritrovamento del Sé» senza trascurare alcun nostro dovere, senza ritirarci in solitudine. Non è necessario portare alcun cambiamento nella nostra vita, nel nostro lavoro sociale, nei rapporti col mondo: il cambiamento che dobbiamo fare è soltanto ed essenzialmente interiore, esso è uno «spostamento di livello di coscienza», una «ripolarizzazione» su una vibrazione più alta, che consente di vivere e agire nei tre mondi in funzione di un unico e fondamentale scopo: portare in manifestazione la vita dell'Anima. 

Ogni nostra azione, ogni nostra esperienza, ogni nostro dovere e anche ogni nostro dolore, acquistano così un nuovo aspetto, un nuovo significato poiché diventano soltanto mezzi per raggiungere l'unione con il Sé e occasione di progresso spirituale. Tuttavia per poter realizzare questa «ripolarizzazione» interiore dobbiamo tentare vari accorgimenti, perché non è facile elevare la vibrazione dopo esser stati per lungo tempo immersi nella vita oggettiva, completamente estrovertiti, presi dall'attivismo e dal caleidoscopio del mondo delle forme, e dopo esser stati identificati con la personalità e con la sua vita illusoria. 

Uno degli accorgimenti che possiamo usare per aiutarci a elevare le nostre vibrazioni è riflettere sulla vera natura dell'Anima, non in maniera esclusivamente mentale e intellettuale, ma anche in maniera direi quasi «affettiva» e «permeata d'aspirazione»: sentendo cioè dentro di noi un senso di amore per l'Anima e un forte e profondo desiderio di realizzare la sua coscienza. Inoltre dobbiamo cercare di «sentire», sia pur pallidamente, quale possa essere la vita dell'Anima, le sue qualità, la sua vibrazione. Non è facile attuare ciò, ma per aiutarci possiamo anche usare l'immaginazione, e non sembri strano e assurdo questo perché vi è molta affinità tra immaginazione e intuizione. 

L'immaginazione è creativa e, come la visualizzazione, è una vera tecnica esoterica. Perciò, riflettere sull'Anima, sulla sua vera essenza, aiuta a elevare le nostre vibrazioni, anche in maniera inconsapevole e a formare a poco a poco dentro di noi un nuovo atteggiamento verso la vita e le sue lotte. Diventeremo più sereni, più distaccati e sapremo guardare tutto con l'occhio dello Spettatore interiore. 

Nel tentare di «sentire» o di immaginare lo stato di coscienza dell'Anima, ci accorgeremo che siamo come neonati nel mondo interiore, poiché tutto ci sembrerà da principio nebuloso, vago, senza forma, vuoto e oscuro. E difficile saper «consistere nell'essere», poiché (come dice il dott. Assagioli nel suo scritto «Sviluppo del senso esoterico»): «Ordinariamente noi viviamo oggettivamente, esteriormente, sempre in rapporto con «oggetti» esterni, ma anche con «oggetti» cosiddetti «interiori» quali le nostre emozioni, i nostri pensieri. «Cosiddetti», perché rispetto all'Anima tutte le attività della nostra personalità, dei tre corpi: fisico, emotivo e mentale, sono esteriori. Emozioni e pensieri sono più o meno aderenti all'Io, ma non sono l'Io, l'Anima, Noi stessi.

Essi si sovrappongono all'Io vero, celandolo e ostacolando le Sue attività. Infatti emozioni e pensieri sono in continuo mutamento, in perenne fluttuazione: solo l'Io rimane immutabile, quale esso è; soltanto l'Io, l'Anima, ci dà il senso della stabilità, del riposo, della vera sicurezza, della realtà permanente. Il potere di vivere e di funzionare soggettivamente è per noi completamente nuovo». 

Noi pertanto possiamo a poco a poco allenarci a divenire sensibili a questo nuovo livello di coscienza, cercando di osservare il più spesso possibile fra le numerose occupazioni e preoccupazioni della nostra vita, dei momenti di pausa, di silenzio, di raccoglimento per ritrovare il nostro centro di coscienza interiore, ed evitare di «disperderci alla periferia» della coscienza. Come vedete, inavvertitamente siamo passati a un secondo accorgimento: la coltivazione di momenti di silenzio. Questi momenti di silenzio non sono ancora la meditazione vera e propria, ma una preparazione a essa. Chi e troppo preso dalla vita attiva, dalle preoccupazioni e dai numerosi doveri, forse pensa che sia impossibile poter dedicare sia pure alcuni attimi ogni giorno a questo raccoglimento interiore.

Eppure questa conciliazione si può fare. Se vogliamo che ogni nostro atto, ogni nostra esperienza, ogni nostro lavoro, ogni nostra sofferenza, si trasformi dentro di noi in Luce, in Saggezza e rechi il suo apporto al risveglio della nostra coscienza spirituale, dobbiamo creare dentro di noi questo «centro di coscienza distaccato», dobbiamo vibrare in un livello più alto, e continuare poi ad agire nei tre mondi con la stessa dinamicità e laboriosità. 

Nella «Luce sul Sentiero» è scritto: «Stai in disparte nella veniente battaglia e benché tu combatta non essere tu il guerriero». Che cosa vogliono dire queste parole? Vogliono dire appunto che in ogni nostra lotta, in ogni nostra azione noi dobbiamo funzionare soltanto come strumenti dell'Anima, e anche se apparentemente è la personalità che agisce in realtà è il Sé dentro di noi che ci guida e ci muove all'azione. Tutto quanto è stato detto finora costituisce soltanto l'esordio che serve, come si diceva prima, a elevare il nostro livello di coscienza, a «ripolarizzarci» dopo l'estroversione nella vita della personalità con cui, per forza di cose, ci siamo identificati per sì lungo tempo. 

Questo momento preparatorio è tuttavia necessario per poter iniziare il sentiero che conduce alla unione con l'Anima, che non è né breve né facile, e possiamo dire che costituisca una vera e propria scienza. E' bensì vero che l'evento meraviglioso del risveglio del Sé Spirituale può anche avvenire improvvisamente, senza preparazione. Abbiamo molte testimonianze di persone che hanno sperimentato questo «risveglio», apparentemente avvenuto senza preavviso, improvvisamente, come una folgore che cade, illuminando d'un tratto la scena e scomparendo poi così rapidamente come è venuta. 

Se però esaminiamo attentamente le vite di questi uomini, le prove che hanno attraversato, i loro sentimenti, i loro stati d'animo, troveremo certamente i «sintomi» di questo evento. Sintomi che forse sono passati inosservati agli stessi protagonisti, poiché essi non erano consapevoli di quello che si stava preparando in loro. Quasi tutti coloro che hanno avuto l'esperienza del contatto con l'Anima avevano un corpo emotivo raffinato e purificato da vite mistiche e ascetiche, oppure dedite a qualche alto ideale di verità e di amore altruistico. Quindi la preparazione vi era stata, anche se in maniera inconsapevole. 

Infatti questi improvvisi risvegli, questi contatti sporadici avvengono quasi sempre a mezzo di una elevazione del corpo emotivo che fa da ponte con l'aspetto Amore dell'Anima. Ecco perché questi contatti, pur essendo meravigliosi e indimenticabili non possono essere ripetuti volontariamente, ma sono sporadici e saltuari. Non possiamo perciò fondare le nostre speranze di unione con l'Anima su un contatto di tal genere, di natura spontanea, e per questo incerta. Non possiamo stare con le mani in mano, limitandoci a desiderare di riunirci con il Sé, senza far nulla consapevolmente e volontariamente. 

Ciò poteva essere perdonato a coloro che non conoscevano la vera natura dell'uomo, che non erano coscienti dello scopo della vita e che avevano dentro di sé soltanto delle vaghe intuizioni, delle visioni sentimentali della Verità. A coloro che sono convinti che l'uomo è essenzialmente un essere spirituale, che sanno che il vero lo è l'Anima, non può essere perdonata l'inerzia, la noncuranza e l'indifferenza.

Questa è la via dell'occultista, la via di colui che sa quello che vuole e che, con tutte le sue forze, con tutti i suoi mezzi, costruisce a poco a poco il Sentiero, il ponte che dovrà unirlo con la sua Anima, o meglio renderlo consapevole di essere un'Anima. La vita dell'occultista è quindi una via mentale, cosciente e volitiva. Una dedizione della mente, del cuore e della volontà a un solo scopo. L'occultista non si limita a desiderare, a pregare, ma studia, ricerca, esperimenta e vuole. Il mistico potrebbe chiamarsi il poeta dello spiritualismo.

L'occultista, lo scienziato. Su questo sentiero, che ci riconduce verso la sorgente interiore, noi siamo sospinti continuamente, anche se ne siamo inconsapevoli. Dobbiamo aver chiaro in mente che una sola è la meta della vita: la manifestazione dello Spirito che è nascosto sotto gli involucri della materia con cui si è identificato. E, se questa è la meta, è naturale che tutto contribuisca alla sua realizzazione. Dapprima i contributi maggiori a questo risveglio della coscienza interiore ci vengono dall'esterno sotto forma di stimoli vari, di cui il principale e il più efficace è il dolore. 

Quando poi avremo compreso il profondo significato e la vera funzione del dolore umano, solo allora saremo capaci di trarre da esso tutto il bene e tutta la saggezza che ci offre, e potremo trovare nell'apparente male, aiuto e stimolo al progresso interiore. Dobbiamo sempre ricordare che spesso, anzi quasi sempre, ciò che è sofferenza per la personalità è invece gioia per l'Anima e viceversa, poiché il nostro Io spirituale vuole condurci verso una direzione e le forze della personalità verso un'altra, e dall'attrito fra queste due tendenze nasce il dolore. 

La personalità è mossa da desideri egoistici, vuole la felicità per sé, mentre l'Anima, che ha la coscienza universale, è mossa dall'Amore per il Tutto, e vuole solo il bene del Tutto. L'uomo identificato con la personalità è cosciente solo del suo io singolo, è immerso nell'illusione della separatività, è attaccato al mondo delle forme, è schiavo dei suoi istinti, dei suoi desideri e delle sue ambizioni, e soffre perché non può mai trovare soddisfazione a essi. 

Il dolore lo scuote, lo risveglia, lo stimola, lo spinge a raccogliersi, a ripiegarsi su se stesso per domandarsi il perché di tutto: lo induce a staccarsi dagli oggetti, gli insegna la rinuncia alle cose bramate e possedute, lo conduce per il sentiero arido e buio della solitudine finché egli, vinto, non si rivolge verso la realtà, verso la  Luce che prima, circondato dalla nebbia dei desideri ' non aveva veduto, e allora comprende di avere sbagliato e ritrova la pace, la serenità e la gioia. 

Molti potrebbero obbiettare che non sempre il dolore produce questo effetto ma che anzi molto spesso  rende l'uomo malvagio, egoista e ribelle o, nel migliore dei casi, arido, vuoto, depresso, senza speranza e senza  energia per proseguire la via... Ciò è vero. Ma non dobbiamo dimenticare che l'uomo percorre un lungo cammino evolutivo, e che molti sono i gradini da salire, numerose le vite che stanno dietro e dinanzi a lui.

Il dolore sembra rendere l'uomo peggiore all'inizio, ed ecco perché esso ci percuote numerose volte, fino a che non arriva al suo scopo che è quello, come abbiamo detto prima, di rendere l'uomo cosciente del suo destino. Se la sofferenza non produce questo risultato vuol dire che non è giunta al «grado» necessario a produrre la «crisi» di capovolgimento, che ci trasformerà completamente. 

Il dolore è come un fuoco che arde per fondere i minerali e separare la parte grezza dal metallo puro, e deve giungere a una temperatura tale da produrre la fusione. Ogni minerale ha una sua temperatura di fusione, così  ogni uomo ha bisogno di un diverso grado di sofferenza perché si risvegli. Ci vogliono numerose incarnazioni per far sì che l'uomo si maturi e divenga «reattivo» e sensibile nella maniera giusta al dolore.

Pertanto è facile comprendere come sul cammino ascendente che ci conduce verso la realizzazione del Sé, il dolore abbia la funzione di stimolo e di aiuto «esterno». Quando cominciamo a divenire consapevoli seppure in maniera vaga del vero scopo della vita, e cominciamo ad aspirare a collaborare con l'evoluzione e a ricongiungerci con il nostro Sé Spirituale, allora abbiamo dalla nostra parte altri aiuti e stimoli che ci vengono non più dall'esterno ma dall'interno, dal nostro mondo soggettivo e interiore. 

Il cammino pertanto comincia a diventare più rapido, poiché il nostro stato di coscienza ci aiuta non soltanto a salire meno lentamente, ma anche a saper trarre la saggezza necessaria e gli insegnamenti giusti dagli stimoli esterni, che ci vengono sotto forma di prove, di dolori, di difficoltà varie. In un certo senso possiamo dire che si viene a formare un giuoco di «azione e reazione» fra gli stimoli interni e gli stimoli esterni, poiché gli uni servono a risvegliare la coscienza interiore dormiente, e gli altri a farci trasformare in saggezza le esperienze della vita.

Giunti a questo punto, è naturale domandarsi: che cosa ci proponiamo di fare dopo aver compreso l'importanza di ricongiungerci coscientemente con l'Anima? La prima cosa da fare è di metterci di fronte a noi stessi in piena sincerità e analizzare il nostro atteggiamento interiore verso questo problema della unione con il Sé per vedere chiaramente:

a) se siamo preda dell'illusione di crederci più evoluti di quello che siamo, e quindi se siamo presuntuosi, orgogliosi, ecc.; 
b) se siamo invece presi da un senso di scoraggiamento, di inadeguatezza, di inferiorità;
c) se siamo presi da eccessivo entusiasmo, emotività e ci aspettiamo quindi risultati meravigliosi e rapidi.

Dobbiamo essere capaci di vedere dentro di noi i veri sentimenti che ci animano e cercare di formare al posto dell'atteggiamento errato l'atteggiamento giusto, che è quello di un'obbiettiva, serena, saggia convinzione mentale, e di una salda, ferma e costante volontà di riuscire. Formiamo dunque dentro di noi queste due forze: a) convinzione mentale; b) volontà di riuscire senza sentimentalismi eccessivi, senza false illusioni, senza speranze di grandezza e, d'altro canto, senza timori, senza pessimismo, senza scoraggiamento.

Guardiamo in faccia la realtà. Aspiriamo a trasformare ogni nostra esperienza, ogni nostro dolore, ogni nostro sentimento in «coscienza» e in «energia» che ci aiutino a liberare il Sé Spirituale dai legami della personalità, e questa nostra aspirazione produrrà certamente dei risultati. Tali risultati potrebbero essere grandi, ma potrebbero anche essere così piccoli da passare quasi inosservati.

Tuttavia se noi intraprenderemo il cammino con la visione chiara, la mente scevra da fantastiche chimère, non soffriremo delusioni e non conosceremo l'aridità dell'insuccesso, ma cominceremo invece a sentire quella serenità, quella gioia, «quella pace che sorpassa ogni intendimento» che sono i veri sintomi che la vita dell'Anima sta sostituendosi lentamente alla vita della personalità. 

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